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Gaṇeśa è il deva dell’intelletto e della saggezza. Noto anche come Gaṇapatī, [dal sanscrito “gaṇa” che significa “gruppo”, “moltitudine” o “categorie” e “īśa” che significa “signore o maestro”] è il “Signore dei Gaṇa”, il “Signore delle moltitudini”, il “Signore di tutti gli esseri”, il “Signore delle categorie. Tra i suoi epiteti “Vināyaka”, “colui che rimuove” e “Vighneśvara”, “il Signore degli ostacoli” che ne evidenziano il ruolo di guida spirituale e protettore, capace di dissolvere le difficoltà e di aprire il cammino verso la conoscenza e la realizzazione del Sé.
Gaṇeśa è il deva del buon auspicio, dispensatore di prosperità e fortuna, simbolo delle qualità che permettono di superare le sfide della vita. Per questo motivo è invocato all’inizio di ogni nuova impresa, rito o viaggio, affinché la sua benevolenza guidi il cammino e ne favorisca il successo. La sua energia rimuove gli ostacoli visibili e invisibili, dissolvendo i blocchi del cuore e della mente e donando coraggio e lucidità per affrontare ogni prova come un’opportunità di crescita e realizzazione.
Esistono diversi miti sulla nascita di Gaṇeśa, ma uno dei più diffusi lo descrive come figlio di Śiva e Pārvatī, e spiega l’origine della sua testa di elefante. Si racconta che Pārvatī, per proteggersi, generò Gaṇeśa dal proprio sudore, affidandogli il compito di sorvegliare la sua dimora. Quando Śiva, ignaro, chiese di entrare, il giovane Gaṇeśa glielo impedì. Offeso e colmo d’ira, Śiva ordinò che gli fosse tagliata la testa. Più tardi, su supplica di Pārvatī, gli dèi sostituirono la testa recisa con quella del primo animale incontrato: un elefante. Da allora, la sua testa d’elefante è divenuta simbolo di fedeltà, intelligenza e potere discriminante. Un altro mito narra che Gaṇeśa nacque direttamente dallo sguardo di Śiva e Pārvatī, come manifestazione della loro energia congiunta. Per questo è visto come incarnazione della śakti creativa, unione di forza maschile e femminile. La sua testa di elefante, in questa versione, sarebbe stata donata da Indra, re degli dèi, come segno di saggezza e di forza regale.
Gaṇeśa è una delle divinità più amate e venerate non solo in India ma in tutto il mondo, poiché la sua presenza trascende scuole, caste e persino religioni: è invocato dagli hindu, dai buddhisti e dai giainisti come simbolo universale di saggezza e prosperità. La sua immagine, posta agli ingressi dei templi, delle case e dei luoghi di studio, diventa protezione da ogni influsso negativo e richiamo di abbondanza. Raffigurato in molte forme, danzante, seduto o in atto di donare dolci, egli irradia gioia e benevolenza. La sua festa più importante è il Gaṇeśa Caturthī, celebrata con processioni, canti e statue che, immerse nelle acque, ritornano al grembo della natura, segno del continuo ciclo di creazione e dissoluzione.
Ha quattro braccia che rappresentano la mente, l’intelletto, l’ego e la coscienza. Nelle sue mani, una tiene un laccio ed un fiore di loto simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé; l’altra tiene un’uncino, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza; le altre due fanno il gesto del donare “varadamudrā” [che simboleggia l’elargizione di doni] e il gesto che dissipa la paure “abhayamudrā” [che accorda la protezione divina].
Ha soltanto una zanna (ekadanta) che simboleggia la capacità di “spezzare” la dualità. Della sua sola zanna, si racconta che la Luna rise di lui poiché la sua pancia era scoppiata e da esse erano usciti tutti i dolci che aveva divorato. Per la gran collera, Gaṇeśa spezzò una delle sue zanne e la gettò contro la luna che poco a poco divenne scura.
Il suo ventre è prominente poiché contiene infiniti universi ed è in grado di assimilare qualunque esperienza. Il piatto di dolci simboleggia l’abbondanza e la prosperità.
La proboscide ricurva indica le potenzialità dell’intelletto di discriminare tra reale e irreale e il tridente sulla fronte la sua padronanza sul tempo.
Ai suoi piedi si trova il topo (mūṣika), il suo fedele veicolo. Questo animale, capace di intrufolarsi ovunque, simboleggia la mente umana con i suoi pensieri incessanti e desideri che, se controllati, possono essere messi al servizio della saggezza. Il topo rappresenta anche l’umiltà, poiché porta un dio così grande e potente.
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